
Il contributo analizza la dottrina giuridica della entry fiction, la quale prevede la possibilità di trattare la persona straniera nel territorio di uno stato come se si trovasse “fuori” da questo, scindendo così la presenza fisica da quella giuridica al fine di stabilirne i diritti in tema di asilo. Tesi del contributo è che la dottrina sia accompagnata da uno specifico modo di intendere il rapporto tra individuo e spazio, che può essere analizzato come un “senso” geografico capace di dare significato e legittimità a procedimenti e regimi giuridici che risulterebbero arbitrari in sua assenza. Tale senso è analizzato in chiave genealogica, partendo dalla sua più recente comparsa nelle cosiddette procedure di frontiera nel diritto UE in tema di asilo, per proseguire a ritroso in un percorso che arriva al diritto statunitense di fine XIX secolo, in cui la entry fiction fece la sua prima comparsa. Proprio questo contesto storico permette di analizzare il senso geografico della entry fiction rispetto alle politiche statunitensi del periodo, e in particolare la transizione degli USA in potenza imperialista. Il contributo ricostruisce dunque la genealogia della dottrina al fine di evidenziarne i presupposti politici e storici e dimostrare come la sua carica esclusoria sia radicata in un immaginario geografico-giuridico vecchio più di un secolo.