A partire dalle riflessioni di Jean Baudrillard sulla fase ‘virale’ della nostra epoca e di Peter Sloterdijk sul ‘comfort’ e lo ‘spazio interno’ (inner space), l’articolo analizza la geografia del city branding che dal 2014 ha rigenerato Bologna come ‘città à la carte’, ridefinendo il territorio emotivo dei suoi cittadini e rimodulando le politiche urbane. Com’è noto il marchio globale di Bologna dipende dal logo generativo “City of Food is Bologna” (Bonazzi, Frixa, 2019) che ha cristallizzato gli spazi del consumo e reso ‘fetish’ il cibo secondo i termini del contemporaneo capitale documediale (Ferraris, 2020; Semi, 2015) e le forme proprie della ‘fantasmagoria’.