Il contributo intende ragionare in chiave pedagogica sulla configurazione che l’educazione e la scuola assumono o dovrebbero assumere in relazione ai cambiamenti in atto sul piano culturale e mediatico. In un tempo, che vive di post-verità, in cui l’intreccio finzione-realtà domina i modi di comunicare, di informare e di argomentare, una semiotica dell’educazione diventa funzionale a ridefinire i contorni della paideia intesa come processo continuo di prendere forma e di trasformarsi qualitativamente dell’individuo, invocata come farmaco per fronteggiare i diversi disorientamenti influenti sulla vita dei singoli e sulle sorti di intere comunità. In particolare, la vaghezza della e nella comunicazione, cui si intreccia il rischio dell’inattendibilità e del relativismo sempre più individualista a livello narrativo, reclama più che mai responsabilità, pensiero critico e capacità interpretative solide. Ad essere chiamata in causa ancora una volta è l’educazione e con essa il ruolo delle agenzie educative, della scuola in particolar modo, in virtù del ruolo, a cui sono tradizionalmente chiamate, di pensare e di governare i processi di formazione. In questo articolo ci si muove nella convinzione di ricentrare il tema formativo sulla dimensione culturale e intellettuale, sui fini di una pedagogia e di un’educazione che, lungi dal poter essere ridotta a atto tecnico e appannaggio di didatticismi alla moda, deve saper recuperare una narrazione incentrata sulla promozione di strumenti intellettuali, abiti mentali, atti a preparare i giovani a vivere il proprio tempo, a saper discernere, scegliere e agire in vista della piena realizzazione umana.
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