L’articolo indaga come una crescente attenzione alla questione nera abbia fatto da cornice all’ascesa di una sensibilità antirazzista nel cattolicesimo italiano del secondo dopoguerra.
L’analisi mette in discussione il cliché di un innato antirazzismo cattolico, esaminando l’interrazzialismo come modello dominante: una terza via che si opponeva sia al razzismo sia all’antirazzismo militante, umanitario ed egualitario. La nozione di antirazzismo faticò a essere recepita dalla cultura cattolica di massa fino agli anni Sessanta. La svolta dipese dall’impatto di tre fenomeni di risonanza mondiale: la decolonizzazione, l’apartheid in Sudafrica e il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. Ironia della sorte, la psicosi anticomunista della Guerra fredda costituì un motore dell’antirazzismo cattolico: occorreva scongiurare che il “risveglio” dei popoli neri avvenisse sotto l’influenza sovietica. Il pontificato di Giovanni XXIII, l’aggiornamento conciliare e la crisi del 1968 posero le basi per un cambio di paradigma; gli orientamenti antirazzisti si intrecciarono a significati progressisti e utopie rivoluzionarie controculturali.