Il presente contributo intende muoversi tra il passato e il presente delle pratiche di cura per mettere in luce alcuni nodi problematici legati a consuetudini educative violente volte alla normalizzazione delle identità e dei corpi di coloro che divergono dalla normalità statistica e dai canoni di ciò che viene considerato accettabile o consono in un dato contesto. Si sceglie di focalizzarsi in particolar modo sulla storia e sulle esperienze di persone neurodivergenti e di persone queer, due gruppi sociali marginalizzati a vari livelli, e sull’intersezione storica e concettuale delle pratiche rieducative violente che entrambi i gruppi hanno subito e continuano a subire, sia separatamente che nella loro intersezione (identità neuroqueer).
Con la consapevolezza che l’intento normalizzante e di inquadramento all’interno di canoni prestabiliti – che spesso sfocia in pratiche più o meno esplicitamente violente, inquadrabili all’interno della pedagogia nera – si applichi anche a molteplici altre categorie di persone, l’affondo su identità neurodivergenti e su identità queer funge da esempio emblematico che intende invitare a una riflessione e a una profonda messa in discussione delle finalità della pedagogia e delle pratiche educative e di cura, evidenziando e problematizzando anche le questioni di potere al loro interno.