Secondo Beck, Giddens e Lash, la società postmoderna, in quanto complessa e incerta, è caratterizzata dalla modernizzazione riflessiva. Tuttavia, il soggetto, a cui nell’epoca del postfordismo si richiede di sviluppare competenze e di apprendere ad apprendere, sembra abbandonarsi all’immediatezza edonistica, e dunque irriflessa, delle sensazioni, colmando la propria ricerca di senso nel valore simbolico della merce e nell’affermazione narcisistica di sé. Data la proliferazione di segni e immagini, la riflessività postmoderna può essere definita estetica, ma con una connotazione positiva, secondo Lash e Urry, in quanto sarebbe in grado di sviluppare capacità ermeneutiche ed empatiche, che stanno alla base di un’etica cosmopolita. Gli autori del presente articolo, pertanto, si interrogano sull’opportunità di educare alla riflessività attraverso strumenti per loro stessa natura riflessivi. Da un lato la filosofia, specialmente quella riflessiva propugnata da Ricoeur, dimostra come l’introspezione riflessiva vada di pari passo con la relazionalità esistenziale. Dall’altro lato, l’esperienza estetica ridimensiona lo spazio e il tempo del fruitore, producendo nuovi modi di vedere. Il concetto di riconoscimento, sia nell’ottica di Ricoeur, che in quella psicoanalitica dell’Infant Research, si fonda proprio sul confronto con l’alterità. L’arte e la filosofia, sin dalla più tenera età, come dimostrato dalla Philosophy for children, possono costituire due strumenti didattici che favoriscono un rispecchiamento non narcisistico, bensì fondato sul dialogo gadameriano, contribuendo a declinare la riflessività estetica del postmoderno nella dimensione etica.
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