Il presente lavoro si basa sull’esperienza personale e clinica dell’autrice, maturata con portatori adulti di disabilità fisica e psichica, con genitori di figli diversamente abili e attraverso il lavoro di analisi, supervisione e formazione con gli insegnanti specializzati sul sostegno. L’analisi dei vissuti personali che spingono un insegnante a formarsi e a svolgere questa particolare attività professionale rappresenta un aspetto fondamentale del loro processo formativo e identitario. In particolare, secondo una visione junghiana, il poter riflettere profondamente sulla motivazione relativa a questa scelta professionale consentirebbe all’insegnante di sostegno di poter svolgere la sua professione mantenendo anche un’attenzione al suo mondo interno e quindi alla sua salute psicofisica. In questo senso, il poter riflettere sulle conseguenze di una scelta così complessa e delicata, potrebbe prevenire forme di stress lavoro correlato, che sappiamo essere molto comuni in tutte le professioni di aiuto.
Secondo un orientamento analitico, lo scritto interpreta la funzione psicoeducativa dell’insegnante di sostegno in relazione al contesto storico e culturale attuale, correlandolo agli accadimenti del secolo scorso. In particolare, ci si riferisce all’eredità di un’Ombra gigantesca e scomoda, rappresentata dall’Olocausto; lo sterminio di disabili, di zingari, di omosessuali e del popolo ebraico. L’insegnante di sostegno, secondo questa ipotesi, si farebbe carico inconsciamente di alcuni aspetti profondi ponendosi come portavoce dell’alunno disabile, consapevolmente o meno, offrendosi come una sorta di collegamento tra l’alunno disabile e il resto del mondo scolastico (altri alunni, insegnanti…). Se l’insegnante di sostegno avesse accesso ad un processo di presa di consapevolezza, condurrebbe presumibilmente sé stesso e la collettività verso un gradino di sviluppo psico-sociale e culturale rispetto alla disabilità e al concetto di diversità in generale.
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