L’articolo si propone di illustrare: a) I nessi che intercorrono tra conduzione dell’analisi e caratteristiche del suo resoconto (il cosiddetto “caso clinico”). Vengono pertanto descritti e discussi il modello tradizionale della conduzione dell’analisi e quello corrispondente della redazione del caso clinico, entrambi ispirati a un metodo osservazionale, nel quale lo sguardo distaccato dell’osservatore ha un ruolo centrale. b) L’evoluzione della prassi analitica che, raccogliendo l’eredità dello spirito del Romanticismo, ha progressivamente ridotto l’importanza della interpretazione a favore di un sempre maggiore coinvolgimento personale dell’analista. c) Le difficoltà che si oppongono a una trascrizione efficace delle esperienze emotive e immaginali vissute nell’interazione di analista e paziente. Tali difficoltà rinviano alla indicibilità dei “vissuti”, nei quali non è più possibile una netta distinzione tra significante e significato. d) Il parallelismo tra redazione del “caso clinico” e traduzione da una lingua a un’altra. In entrambi i casi, una possibile, seppur parziale, soluzione delle difficoltà sta nella applicazione della cosiddetta “costruzione dei comparabili” (Ricoeur), che significa tendere a una equivalenza ma non a una identità tra ciò che accade in analisi e ciò che noi scriviamo: dire la stessa cosa ma in altro modo, facendo uso dell’analogia.
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