
Non passa giorno senza che venga annunciato, sia sui giornali che più frequentemente sul web, l'arrivo di un nuovo e spettacolare grattacielo nell'area metropolitana di Milano. Dai progetti già consolidati di Porta Nuova e CityLife, fino agli sviluppi più recenti come Scalo Farini, Porta Romana e San Siro, gli skyscrapers spuntano rapidamente, con l'ambizione di ridisegnare aree in stato di degrado, conferendo loro un nuovo volto, simbolo di modernità e innovazione. Tuttavia, l'idea alla base di queste operazioni non è affatto inedita: già negli anni Trenta, e successivamente con il progetto del Centro Direzionale, Milano ha visto sorgere grattanuvole e torri destinate a rigenerare zone distrutte o degradate, facendole diventare nuovi poli di attrazione, anche attraverso il "dominio visivo" sulla città orizzontale. Oggi, la questione centrale è capire se questi edifici alti abbiano realmente la capacità di partecipare alla rigenerazione urbana, contribuendo alla creazione di spazi pubblici e collettivi capaci di promuovere un senso di appartenenza e identità, o se rispondano piuttosto unicamente a logiche speculative e fondiarie, dove i grattacieli diventano le nuove cattedrali con funzione attrattiva, innescando così inevitabili processi di gentrificazione nelle aree in cui vengono eretti.