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Adunanza solenne

N. 158.1 (2025): Parte generale e Atti ufficiali

Tra finito e infinito. La cognizione astronomica di Giacomo Leopardi

  • Marco Bersanelli
DOI
https://doi.org/10.3280/rndoa2025oa20661
Inviata
16 luglio 2025
Pubblicato
18-07-2025

Abstract

L’assidua osservazione del cielo stellato segnò profondamente l’animo del giovane Leopardi, contribuendo a sviluppare in lui quella intensa dimensione cosmica che pervade l’intera sua opera poetica e filosofica. Una lettura attenta dei suoi scritti – dalla giovanile Storia dell’astronomia, attraverso lo Zibaldone, fino alla Ginestra – rivela come il grande poeta recanatese abbia mantenuto, lungo tutto l’arco della sua vita, una lucida consapevolezza dei progressi dell’astronomia del suo tempo. Così, per Leopardi, la sconvolgente vastità dell’universo rivelata dai grandi telescopi di inizio Ottocento diventa da un lato emblema dell’apparente insignificanza dell’uomo di fronte alla natura, dall’altro specchio dell’incommensurabile grandezza del desiderio umano. L’estensione dello spazio fisico, nella sua intuizione, resta comunque finita: lo mostrano sia le sue osservazioni critiche sul sistema newtoniano, sia alcune scelte lessicali nel celeberrimo canto L’infinito. È infine interessante confrontare l’intuizione leopardiana con la visione dell’universo offerta dalla cosmologia contemporanea, secondo cui la regione di spazio-tempo a noi accessibile è vastissima, in espansione, ma finita. La questione dell’infinità o finitudine dello spazio su scala globale resta invece aperta, benché le misure del parametro di curvatura abbiano ormai raggiunto la precisione dello 0,1%. Lo spazio cosmico rimane – forse definitivamente – sospeso sul confine tra finito e infinito: una soglia tanto cara a Giacomo Leopardi.

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